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giovedì 3 maggio 2007

Famiglie discriminate, a convivere si risparmia sulle tasse

articolo di Ilaria Nava pubblicato su "è famiglia" inserto di Avvenire del 27 aprile 2007

L’articolo 31 della Costituzione italiana assegna allo Stato il compito di agevolare «con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». Per fare in modo che questa norma non resti lettera morta ci sono ancora molti passi da compiere per sostenere davvero la famiglia. Che questo sia possibile, lo dimostra la situazione degli altri Paesi europei, in cui lo Stato è intervenuto con azioni molto concrete a favore dei nuclei familiari: «Avere figli in Italia costa molto, certamente più che negli altri Paesi d’Europa – afferma Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato, coordinatrice della Commissione per la famiglia istituita dalla vicepresidenza del Consiglio dei ministri nella scorsa legislatura, nonché direttore del sito www.lafamiglianellasocietà.org– più che in Francia, ad esempio, dov’è applicato il "quoziente familiare", meccanismo fiscale che tiene conto del numero dei componenti e che, in altre parole, considera il reddito complessivo di una famiglia e lo divide per il numero dei figli a carico, attuando così l’"equità orizzontale"».
In effetti, dati alla mano, per farsi un’idea basti pensare che una famiglia di quattro persone composta dai coniugi e due figli a carico, con un reddito di 50.000 euro, paga in Italia un’imposta di 13.225 euro. In Francia per la stessa famiglia l’imposta precipita a 2.518 euro. Con un reddito di 25 mila euro in Italia ne paga circa 2.500, in Francia solo 52 euro.

«La deduzione del costo minimo per il mantenimento dei figli, (Bif, basic income family) – continua l’avvocato Zerman – costituisce una proposta, fortemente auspicata dal Forum delle famiglie, che giace da anni in Parlamento. È quantomeno singolare che questo meccanismo, sostanzialmente adottato per le imprese, che possono dedurre i costi sostenuti per il loro esercizio, non sia riconosciuto anche per le famiglie, in ragione della primaria e fondamentale attività sociale che esse svolgono, anche sotto il profilo economico. Senza considerare il ritorno finanziario, in termini di imposta indiretta, quale è l’Iva, che anche lo Stato ne avrebbe, considerato che le famiglie spendono per beni di prima necessità quasi tutto quello che guadagnano. Ed in questo senso costituiscono il più importante operatore economico sul mercato interno». Spesso, infatti, si tende a dare per scontato il fatto che l’insieme di relazioni positive e di fiducia che si sviluppano all’interno della famiglia creano benessere e slancio vitale che costituiscono quello che viene chiamato "capitale sociale", vero motore per lo sviluppo di un paese.

Questa rilevante pressione fiscale, peraltro, non è neppure compensata dalla quantità e qualità dei servizi resi. Basti pensare che l’Italia ha investito nell’ultimo quarto di secolo in tema di politiche familiari una somma pari all’1,1% del Pil, contro il 3,4% della Germania ed il 2,4% del resto dell’Europa.

«La revisione del sistema fiscale – conclude Zerman – è ormai urgente, siamo il Paese più vecchio al mondo, perché con l’indice di natalità più basso. Occorre che i politici ne prendano finalmente atto. Sostenere la famiglia non è garantire un privilegio, né favorire i cattolici. È semplicemente una questione vitale per la società. Potremmo ripetere con De Gasperi: "Il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alla prossima generazione"».

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