No alla legge contro l'omofobia

martedì 8 maggio 2007

Figli di un padre e di una madre. Dalla famiglia non si prescinde

Ancora reazioni scomposte da parte di chi ha problemi circa la propria identità sessuale.
Si perchè la questione dei DICO nasce da questo problema. I cosidetti gay altro non sono che omosessuali che credono di risolvere il loro problema facendo finta di essere del sesso opposto a quello che effettivamente hanno.
la natura non può essere sovvertita, nemmeno dal chirurgo plasitico se nasci con il sesso maschile non puoi inventarti di essere femmina.
Le rivendicanzioni stesse denotano personalità disturbate. la soluzione invece è quella di curare il disturbo di identità con una terapia di tipo psicologico così come presentato da Joseph Nicolosi nel suo libro "Oltre l'omosessualità"

Che dai rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso per natura siano sterili dovrebbe già essere un indizio che le rivendicazioni gay sono artificiose.

Nell'attesa di scendere in piazza a protestare contro queste storture e a promuovere l'unica e vere famiglia secondo natura Vi propongo la lettura di un altro interessante articolo di Marina Corradi pubblicato su "è famiglia" inserto di Avvenire il 30 marzo scorso

Dalla parte dei figli. La Nota dei vescovi italiani per prima cosa analizza la questione dei Dico da questa prospettiva. Dal "basso", per così dire: dallo sguardo dei bambini, che si rivolgono ai genitori da sotto in su – da una prospettiva di attesa fiduciosa. E "dalla parte dei figli", chi ha un po’ di memoria e di onestà intellettuale si ricorda che quando si è bambini, il desiderio è quello di avere un padre e una madre che non solo ci amino, ma siano tra loro legati in un volersi bene solido e duraturo, capace di tenere alla prova dei litigi, del dolore, dell’usura del tempo. Quando si è bambini, ciò che si domanda è che tuo padre e tua madre siano alle tue spalle, insieme; come un porto di acque sicure in cui aspettare il momento di prendere il largo da soli. Come un terreno su cui il figlio costruisce le sue fondamenta: se la terra è aperta da incrinature, o addirittura sconvolta da un sussulto di faglie, la casa, sopra, mostra nelle mura le breccia del terremoto, come una ferita.
Sono stati scritti, da illustri psicologi, libri per dimostrare come i figli naufraghi famiglie disperse possano comunque crescere sereni; e proprio questo affannarsi a dire che, nonostante tutto, a quella divisione si può sopravvivere indica la consapevolezza, talvolta a parole negata, che comunque il dissolversi della famiglia è per un bambino una prova durissima.
Un "patrimonio incalcolabile di sicurezza", secondo la Nota, viene ai figli dalla famiglia fondata sul matrimonio. E qualcuno obietterà che tante unioni nate da matrimonio poi falliscono. Ma la difficoltà a restare insieme non può fare passare in secondo piano l’importanza fondante della scelta iniziale: l’impegno a una fedeltà, la volontà di un rapporto stabile e in quanto tale riconoscibile dalla comunità che è attorno. Se nemmeno a livello di promessa questo desiderio esiste, è come, invece che gettare fondamenta, stabilire fin dal principio che si vivrà dove capita, in precarie dimore. È il minimalismo degli affetti, il precariato della famiglia; ed è molto difficile crescere in regime di precariato affettivo; difficile affrontare la realtà, incerto come sei sulle forze che hai dietro le spalle.
In una cultura in cui sempre più i figli sono oggetti, oggetti da pretendere se non arrivano, da selezionare se arrivano difettosi, da rivendicare anche quando gli aspiranti genitori sono dello stesso sesso, comunque "cose" che appagano i bisogni affettivi degli adulti, la prospettiva dei vescovi italiani si mette dalla parte dei figli – che sono persone. In uno sguardo che certo è cristiano, nell’attenzione ai diritti dei più deboli. Ma prima di tutto è profondamente umano, in un tempo in cui si va dimenticando cosa è un uomo, e cosa voglia davvero.

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